Violenza sulle donne: inutile negare il femminicidio

Da Women must go on@Linkiesta

Brescia e Verona, in soli due giorni, due donne sono state barbaramente uccise per mano di una persona cui erano state legate affettivamente.

Brescia – Francesca Alleruzzo, 45 anni, maestra elementare, vittima delle furia omicida dall’ex marito Mario Albanese, che nella notte tra il 3 e il 4 marzo, ha ucciso la donna insieme a sua figlia, il fidanzato della giovane e al compagno della donna, Vito Macandino. Secondo quanto riportato dalle agenzie l’omicida avrebbe compiuto la strage «accecato dalla gelosia», salvando però dalla mattanza le figlie avute dalla donna.

Verona – «Dramma della gelosia a Mozzecane in provincia di Verona. Un uomo di 56 anni ha ucciso la moglie di 51, strangolandola con un foulard, al culmine di un litigio causato dalla gelosia dell’uomo».

Oggi un altro omicidio di una donna a Piacenza. L’omicida, che si è poi suicidato, ha freddato con svariati colpi di arma da fuoco una donna di 49 anni, mentre camminava per strada. Dell’omicidio-suicidio non si conoscono ancora i particolari, non si sa quindi quale relazione intercorresse tra l’uomo e la donna, ma secondo quanto trapelato, sembrerebbe che i due fossero stati legati sentimentalmente e che la furia omicida si sia scatenata a seguito dell’interruzione da parte della donna del rapporto.

Solo pochi giorni fa il Corriere del Veneto pubblicava uno studio dell’Osservatorio Nazionale Violenza Domestica (Onvd) che ha mostrato un preoccupante innalzamento di violenze domestiche. Secondo la ricerca ogni settimana ci sarebbe «una vittima di omicidio (36 casi per 39 vittime) o tentato omicidio (49 casi per 53 vittime) in ambito familiare e […], nella maggior parte dei casi, si tratta di donne. Gli autori sono invece 37 uomini e 9 donne per i tentati omicidi e 27 uomini e 9 donne per quelli compiuti. Nei primi sei mesi del 2011, sono stati 1224 i casi di violenza domestica sul territorio regionale, con un’impennata dei tentati omicidi».

L’aumento del tasso di violenza domestica non riguarda ovviamente solo l’area del Veneto, ne è prova la tenace battaglia condotta dalle istituzioni e associazioni a difesa delle donne su tutto il territorio italiano. Ciò che colpisce, però, è che giornali e telegiornali, riportando i fatti di Brescia, Verona e Piacenza, continuino a usare espressioni come ‘delitto per gelosia’ o ‘delitto passionale’, riducendo il raptus violento e omicida a una degenerazione delle esplosioni passionali. Proprio oggi mentre rimuginavo sul fatto che tutti rilevassero il tratto comune della gelosia, ho trovato in rete un articolo di Femminismo a Sud che analizzava il torbido rapporto generato dalla definizione di ‘passionale’, tra l’omicidio di una donna e la sua potenziale alterazione in un meccanismo perverso, che risulta, alla fine, sempre legato alla sfera ‘affettiva’.

Ma perché, volendo continuare in questo tipo di analisi, in questo tipo di delitti non si evidenzia allora la discrepanza tra l’agire maschile e quello femminile? Se i dati legati al Veneto, non sono altro che uno spaccato della condizione nazionale, perché nessuno si interroga sul rapporto (nel solo ambito della violenza domestica) prevalente uomo-omicida e donna-vittima?

Continuando a ragionare in termini meramente ‘sentimentali’, non solo affievoliamo l’atrocità del gesto omicida, ma, in qualche modo, falsiamo notizia: l’aspetto fondamentale sembra incentrarsi sul rapporto affettivo che porta alla tragedia, escludendo di fatto il background culturale che si cela dietro la violenza domestica. Perché di questo che si parla, non è amore malato: è violenza e criminalità. L’omicidio intra-familiare è la conseguenza di una percezione ossessiva del violento di potersi rivalere del diritto di proprietà legato alla donna. Più volte, nell’altra sede di Women must go on, ho espresso la convinzione che la cultura maschilista abbia insediato la pericolosa idea che una donna possa diventare parte del patrimonio di un uomo, gestibile da quest’ultimo, a suo uso e consumo. Per questo ritengo che il termine “femminicidio” (coniato proprio per evidenziare un inasprimento della violenza contro le donne) sia sufficientemente duro da risultare impattante per l’opinione pubblica ed efficace per far si che aumenti la consapevolezza che la violenza domestica è una piaga del nostro Paese.

Il numero Nazionale Antiviolenza 1522, gestisce un numero incredibile di chiamate: dalla fondazione al settembre 2011 sono state ben 83.045 le chiamate cui è stata prestata completa assistenza da parte delle operatrici. Le richieste di aiuto al 1522 sono pervenute principalmente da donne (89,9%), ma anche da familiari di persone vittime di violenza domestica o soggetti interessati all’argomento che avevano bisogno di notizie tecniche in ambito.

Parlare di violenza contro le donne non significa mostrare disprezzo nei confronti degli uomini né considerare la battaglia contro la brutalità, una prerogativa femminile che divida i sessi. Significa evidenziare una realtà che non è frutto di fantasie, ma che però è in qualche modo legata a un sostrato dal quale non possiamo prescindere per comprenderne le cause. Denunciare questo tipo di violenza equivale a cercare di fornire strumenti ad altre potenziali vittime affinché i dati rilevati tra il 2010 e 2011 possano subire un’inversione di rotta. Aumentare l’informazione e la consapevolezza dell’opinione pubblica è, inoltre, dovere sia istituzionale sia collettivo. Cercare di dare dati precisi e inconfutabili può essere la prima arma in difesa di queste donne che, purtroppo, troppo spesso non sono solo vittima del persecutore, ma anche dell’indifferenza e di chi mette in dubbio la veridicità della situazione denunciata.

 

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